Professionisti / Il procedimento disciplinare a carico dei geometri e le sue fasi

Con il presente commento – che fa seguito ai precedenti approfondimenti in merito al Codice di Deontologia Professionale dei Geometri – proseguiamo l’analisi del procedimento disciplinare ex art. 12 RD n. 274/1929, come integrato dal DPR 7 agosto 2012, n. 137.

Il procedimento disciplinare e le sue fasi

Il procedimento disciplinare può essere analizzato distinguendo almeno cinque fasi:

  1. Impulso;
  2. Istruzione preliminare;
  3. Non luogo a procedere o rinvio a giudizio disciplinare;
  4. Trattazione;
  5. Decisione

1. Impulso

Tre sono i modi con cui il Consiglio di disciplina dà avvio alla procedura disciplinare: tramite segnalazione, su richiesta del Pubblico Ministero ovvero d’ufficio.

  • La segnalazione: chiunque vi abbia interesse può dare impulso all’azione disciplinare mediante un “esposto” al Collegio di disciplina territoriale, con indicazione della notizia del presunto illecito deontologico commesso da un professionista iscritto al medesimo albo professionale. Ricevuto l’esposto (sotto qualsiasi forma), il Collegio deve trasmettere la segnalazione al Presidente del Consiglio di disciplina per i successivi adempimenti.
  • La richiesta del PM: è il Pubblico Ministero che, avuta notizia della presunta condotta disciplinarmente illecita, richiede l’avvio della procedura al Consiglio.
  • L’azione d’ufficio: su istanza di uno o più membri del Consiglio di disciplina a seguito dell’avvenuta conoscenza di illeciti disciplinari comunque appresi.

In tutti i casi, elemento essenziale e comune all’avvio del procedimento disciplinare è la notizia della commissione di un illecito a presunto rilievo disciplinare, la cd. notitia criminis. Infatti, il Consiglio di disciplina può attivare la procedura soltanto se ha avuto conoscenza di un presunto illecito disciplinare e non in via meramente autonoma. È l’atto di impulso che rende legittimo l’avvio della procedura, dovendosi escludere un autonomo potere in tal senso in capo al Consiglio di disciplina, ossia al Presidente di tale Consiglio.

  1. Istruttoria preliminare.

Il comma 2 dell’art. 12 del R.D. 274/29 prevede che: “Il presidente del (Consiglio di disciplina), verificati sommariamente i fatti, raccoglie le opportune informazioni e, dopo di avere inteso l’incolpato, riferisce al (Consiglio di disciplina), il quale decide se vi sia luogo a procedimento disciplinare”.

Il disposto citato disciplina in maniera semplice e chiara la fase istruttoria preliminare, individuando il soggetto preposto al suo svolgimento, l’oggetto su cui verte ed i suoi possibili esiti.

Preposto allo svolgimento dell’istruttoria preliminare è il Presidente del Consiglio di disciplina, il quale, all’esito del raccordo con le intervenute modifiche al Regio Decreto n. 274/29, ha il potere di assumere tutte le informazioni opportune per lo svolgimento delle indagini. A titolo esemplificativo, il Presidente può estrarre copia della documentazione necessaria custodita presso pubblici uffici e può, tramite istanza al Procuratore della Repubblica, persino avvalersi degli organi di polizia giudiziaria.

In concreto, l’attività istruttoria consiste nell’assunzione di tutte le informazioni opportune per lo svolgimento delle indagini da parte del Presidente del Consiglio di disciplina o di un consigliere delegato.

Tale fase, essendo preposta all’assunzione delle informazioni necessarie a verificare l’opportunità o meno dell’apertura del procedimento disciplinare vero e proprio, si colloca in una fase antecedente al vero e proprio procedimento disciplinare. L’istruttoria consente di verificare il fondamento dei fatti emersi con l’atto d’impulso, valutarne la consistenza ed il rilievo disciplinare, nell’ottica di indagare ed accertare solo fatti e circostanze che potenzialmente integrino violazione deontologiche.

  1. Non luogo a procedere o rinvio a giudizio disciplinare.

Esaurita questa attività preliminare d’indagine e di vaglio dei fatti che costituiscano violazioni di norme deontologiche, il Presidente non può esercitare in concreto l’attività giudicante, ma deve relazionare al Consiglio di disciplina, il quale solamente può delibare circa l’esercizio dell’azione disciplinare, ossia decidere in concreto se avviare o meno il procedimento.

In particolare, a questo punto, esaminato quanto rilevato dal Presidente, il Consiglio di disciplina si trova di fronte a due strade alternative ed opposte tra di loro:

a) il non luogo a procedere: viene emesso laddove il Consiglio ravvisi l’inesistenza dei fatti di rilievo disciplinare. Chiamato altresì “archiviazione”, il provvedimento non ha natura decisoria in senso giurisdizionale, ma meramente amministrativa, con due conseguenze di rilievo: da una parte, esso non può essere impugnato (ossia il ricorso dell’esponente contro il provvedimento di archiviazione è destinato a essere dichiarato inammissibile da parte del CNGeGL), dall’altra, un provvedimento di non luogo a procedere non esclude che il Consiglio di disciplina possa valutare di dare avvio a un nuovo procedimento fondato sui medesimi fatti ma sulla scorta dell’acquisizione di eventuali nuovi elementi documentali;

b) il rinvio a giudizio disciplinare: si avrà allorché il Consiglio rinvenga la sussistenza di circostanze che appaiono di rilevanza disciplinare. Ciò comporta la nomina di un “collegio” di tre consiglieri che sarà preposto a gestire il giudizio assegnatogli. Il Presidente del collegio di disciplina nomina il consigliere relatore (che si preoccuperà dell’istruzione del giudizio) e fissa la seduta del collegio per la discussione. L’iscritto in questo modo da indagato diviene “incolpato”.

  1. Trattazione.

A questo punto, il procedimento disciplinare prende concretamente avvio ed è necessario convocare l’incolpato. A tal fine, il Presidente del Collegio assegnatario dà notizia della fissazione della seduta di discussione all’indagato e del rinvio a giudizio (almeno dieci giorni prima) per consentirgli di presentare giustificazioni e documentazione a difesa.

In particolare, tale termine svolge la funzione di:

  • garantire al professionista indagato un congruo termine per predisporre le sue difese. In quest’ottica, il termine di dieci giorni prima della seduta per l’avviso all’indagato è considerato a pena di annullamento di tutto il procedimento laddove sia in concreto lesivo del diritto di difesa;
  • invitare l’indagato a comparire alla stessa per essere sentito e produrre documenti a difesa;
  • garantire il contraddittorio contenendo una chiara contestazione dell’addebito disciplinare mosso al professionista.

Alla seduta fissata per la convocazione dell’incolpato, si procede alla discussione dei fatti oggetto del procedimento. Nella seduta ha luogo la discussione formale del giudizio in cui vengono sentiti il relatore, l’incolpato (e/o il suo difensore), eventuali testimoni e se, del caso, persino il soggetto che ha avanzato l’esposto.

Si rammenti che, qualora l’incolpato ritualmente convocato non compaia alla seduta o non giustifichi la sua assenza con un legittimo impedimento, il Collegio giudicante procederà lo stesso in sua assenza ad istruire il giudizio.

Va anche ricordato che, nel caso in cui il Collegio aggiorni la seduta di discussione per qualsivoglia motivo (approfondimenti, nuovi accertamenti, necessità di acquisizioni documentali), lo stesso Collegio dovrà procedere ad una nuova formale convocazione dell’iscritto incolpato.

  1. Decisione.

All’esito della discussione, il Collegio può adottare immediatamente la decisione ovvero rinviare la decisione ad un secondo momento. In ogni caso, la seduta del Collegio non è pubblica e la decisione è adottata a porte chiuse.

La decisione del Collegio potrà essere di “archiviazione” ovvero di adozione della “sanzione” disciplinare.

Le sanzioni irrogabili all’incolpato ritenuto responsabile dell’addebito disciplinare contestatogli sono quelle di cui all’art. 11 del RD n. 274/1929: avvertimento, censura, sospensione dall’esercizio della professione (fino ad un massimo di sei mesi), cancellazione dall’albo professionale.

Si può concludere ricordando che se, da un lato, le sanzioni sono rigidamente tipizzate dall’ordinamento professionale (ossia, non sono previste sanzioni diverse da quelle sopra elencate), dall’altro, nel Codice di Deontologia vi è una mancata tipizzazione degli illeciti disciplinari, per cui le sanzioni non sono collegate a specifiche fattispecie deontologiche.

Tanto che il Collegio di disciplina, allorché decida di irrogare la sanzione, non è obbligato a seguire rigorosamente l’ordine delle sanzioni di cui all’art. 11 e soprattutto ha facoltà di adottare sanzioni diverse per la medesima infrazione, secondo una sua discrezionale valutazione purché adeguatamente motivata.