NEWS / Il contenzioso tra lavoratori Alitalia ed Ita Airways si traferisce davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea

La gran parte dei dipendenti di Alitalia SAI Spa in amministrazione straordinaria appartenenti al cd. ramo Aviation sono stati esclusi dal passaggio in ITA Spa, accantonati presso il vecchio vettore e messi in cassa integrazione dal 15 ottobre 2021 a seguito della cessione del ramo d’azienda avvenuta in pari data da Alitalia alla nuova compagnia di bandiera, ITA Spa (meglio nota come ITA Airways), in quanto la ITA ha selezionato ed assunto solo chi ha voluto, così violando la disciplina nazionale ed europea (art. 2112 c.c. e Direttiva 2001/23/CE) che, nel caso del trasferimento del ramo d’azienda, prevede il passaggio di tutto il personale addetto a quel settore.

 

Un gruppo di essi, ex addetti di terra al ramo Aviation, dopo aver diffidato ITA Spa di assumerli immediatamente, è stato costretto ad adire il giudice competente per la tutela dei propri diritti, ossia il Tribunale del Lavoro di Roma. Il quale, nella persona della Presidente della Terza Sezione Lavoro, Dr.ssa Tiziana Orru, ha emesso una ordinanza in data 16 settembre2025, con cui ha promosso il cd. rinvio pregiudiziale degli atti presso la CGUE – Corte di Giustizia dell’Unione Europea, per chiedere a questa di verificare se sia in corso una violazione del diritto dell’Unione e, in particolare, di dirimere i dubbi interpretativi, alimentati anche dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 99/2025, che nell’ambito del medesimo contenzioso aveva concluso per la necessaria applicazione dell’art. 56, co. 3-bis, D.Lgs. n. 270/1999 (quale unico paradigma normativo applicabile), ossia per la disapplicazione delle tutele di cui all’art. 2112 c.c. (passaggio integrale del personale dall’impresa cedente a quella cessionaria) nonché di quelle previste dalla Direttiva 2001/23/CE, artt. 3 e 4.

Ritiene pertanto il Tribunale che, alla luce delle considerazioni dedotte nella sentenza n. 99/2025 della Corte costituzionale, appare necessario investire della questione la Corte di Giustizia al fine di assicurare l’uniforme interpretazione del diritto, dubitandosi della corretta applicazione degli articoli 3, 4 e 5 della Direttiva 2001/23/CE, degli artt. 1 e 11 della Direttiva 2008/94/CE e degli artt. 21, 47, 52, 53 e 54 della Carta di Nizza (CDFUE) in rapporto alla normativa interna in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza di cui al D.Lgs. 270/1999.

 

Il Tribunale dunque ha richiesto alla Corte di affrontare una serie di questioni interpretative, tra cui:

1)

– Se possa considerarsi aperta una procedura di natura liquidatoria, nel caso dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, qualora le imprese destinatarie presentino “concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali”, come previsto dall’art. 27, co. 1 D.Lgs. 270/1999

– al contrario, se la condizione di procedura liquidatoria debba essere ritenuta sussistente soltanto allorché sia dichiarata l’apertura della liquidazione giudiziale (ex fallimento) qualora manchino le concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico

– ovvero se debba essere dichiarata l’apertura della liquidazione giudiziale o liquidazione coatta amministrativa solo dopo che il Tribunale competente abbia emesso il decreto di cessazione dell’attività di impresa ai sensi dell’art. 73, co. 1 D.Lgs. 270/1999

– ovvero se possa considerarsi liquidatoria la procedura per la mera redazione da parte dei Commissari Straordinari di un programma di cessione di complessi aziendali o di complessi di beni e contratti, ai sensi dell’art. 27, comma 2, lett. a) e b-bis) D.Lgs. 270/1999

– infine, se siano derogabili le garanzie previste agli artt. 3 e 4 della Direttiva 2001/23 solo per l’adozione di un programma di cessione (di tutta o parte dell’impresa) a prescindere dall’accertamento in concreto del fatto che la procedura di AS persegua la finalità di massimizzare la soddisfazione del ceto creditorio ed a prescindere dalla prova stessa offerta dall’impresa insolvente nell’ambito del giudizio di merito.

2)

– Se l’articolo 5, par. 1, Direttiva 2001/23, che prescrive che la procedura di insolvenza si svolga “sotto il controllo di un’autorità pubblica competente”, possa interpretarsi nel senso che, nella amministrazione straordinaria, il controllo giudiziale sia limitato alla dichiarazione dello stato di insolvenza che precede l’apertura della procedura

– che la procedura di amministrazione straordinaria preveda un controllo giudiziale soltanto all’esito della completa esecuzione del programma di cui all’art. 27, comma 2, D.Lgs. 270/1999 e, quindi, esclusivamente con l’emissione del decreto di cessazione dell’attività di impresa

– che nessun controllo giudiziale sia ordinariamente previsto in relazione all’effettivo perseguimento della finalità di massimizzazione della soddisfazione collettiva dei creditori ovvero di salvaguardia dell’operatività dell’impresa o delle sue unità economicamente redditizie.

3)

– Se sussistono in questa vicenda forme di discriminazione indiretta tra i lavoratori, direttamente comparabili tra di loro, che possono accedere alle tutele degli artt. 3 e 4 della Direttiva 2001/23, mantenendo il proprio posto di lavoro e le condizioni di lavoro originarie (come quelli transitati in ITA dal 15 ottobre 2021) e lavoratori (quali i ricorrenti della causa in questione) che, invece, in caso di procedura con finalità liquidatoria non possano accedere alle tutele degli artt. 3 e 4 della Direttiva 2001/23/CE e, dunque, non possano mantenere il proprio posto di lavoro, allorquando, nell’ambito di una procedura liquidatoria, vengano comunque effettuate operazioni di cessione d’impresa o parte dell’impresa che assumono le caratteristiche, di fatto, della conservazione di quella stessa impresa o parte dell’impresa ceduta.

4)

– In caso di risposta positiva, ossia in caso di accertamento di una discriminazione indiretta non sorretta da ragione obiettiva, se possa applicarsi il principio di equivalenza delle tutele antidiscriminatorie, secondo il quale i lavoratori svantaggiati possono acquisire le medesime tutele dei lavoratori assunti in comparazione e trattati più favorevolmente, come sancito dalla CGUE, Grand Chambre, con la sentenza del 17 aprile 2018, Egenberger, causa C-414/16.

5)

– Se l’art. 1, co. 1-bis, del D.L. 4/2024, conv. con modificazioni in L. 28/2024, che novella l’art. 27 del D.Lgs. 270/1999, incide direttamente sui giudizi in corso e pendenti dinanzi all’Autorità Giudiziaria nazionale, in una situazione di fatto e di diritto che vede il Governo italiano direttamente coinvolto come autorità di controllo dell’impresa cedente e, pertanto, se tale norma interna osta alla piena applicazione del diritto ad un ricorso effettivo a causa di un abuso di diritto e/o osta al livello di protezione e/o portata dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta di Nizza e dal diritto dell’Unione.

6)

– Se il medesimo art. 1, co. 1-bis, del D.L.4/2024, conv. con modificazioni in L. 28/2024, che novella l’art. 27 del D.Lgs. 270/1999, così come interpretato dalla Corte Costituzionale (sent. 99/2025) costituisce una violazione del divieto di regresso delle tutele dei lavoratori subordinati in caso d’insolvenza del datore di lavoro disciplinato dalla Direttiva 2008/94/CE agli artt. 1 e 11 e, per l’effetto, osta al perseguimento delle finalità volute dalla direttiva stessa.

 

Ora, il Tribunale di Roma, aderendo alla richiesta dei ricorrenti, ha sospeso il giudizio in corso ed ha rimesso gli atti alla CGUE perché il Tribunale ritiene che la normativa nazionale non sia stata finora interpretata correttamente e comunque in maniera difforme rispetto alla disciplina euro-unitaria, chiedendo alla Corte europea di pronunciarsi su tale sospetta illegittimità.

 

La vicenda non riguarda solo lo sparuto gruppo di ricorrenti della causa pendente avanti il Giudice Orru ma tutto il bacino di cassintegrati ed esclusi dall’assunzione in ITA, molti dei quali in conflitto con ITA attraverso cause che stanno intasando Tribunali e Corti d’appello di Roma e Milano e che, soprattutto, riguardano il destino stesso della nuova Compagnia di bandiera.