Civile / Le locazioni ad uso commerciale in tempo di emergenza sanitario – economica

L’emergenza epidemiologica dei nostri giorni ed i conseguenti provvedimenti attuati dal Governo hanno avuto un forte impatto sui rapporti commerciali e privatistici nel nostro Paese. La chiusura degli esercizi commerciali e la sospensione delle attività produttive generano esigenze contrapposte tra i proprietari degli stabili ed i conduttori e, pertanto, la necessità di interpretazione e gestione dei contratti di locazione in essere, in particolar modo con riferimento a quelli relativi agli immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo, ossia commerciale.

In relazione alla materia locatizia, il primo intervento normativo si è rivelato non del tutto soddisfacente, atteso che l’art. 65 del D.L. n. 18/2020 (cd. Decreto Cura Italia) ha riguardato meramente le attività commerciali ritenute “non essenziali” ai sensi del D.P.C.M 11 marzo 2020, con conseguente esclusione di quelle attività che non hanno dovuto sospendere il proprio servizio.

In ogni caso, con il cd. “Decreto Cura Italia”, il Governo ha previsto, all’art. 65, 1 co., che “Al fine di contenere gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19, ai soggetti esercenti attività d’impresa è riconosciuto, per l’anno 2020, un credito d’imposta nella misura del 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1”.

Ebbene, poiché è plausibile che il pagamento dell’importo del canone di locazione originariamente pattuito divenga insostenibile in una cornice di complessiva recessione economica, occorre valutare quali strumenti giuridici siano utilizzabili, nella specifica contingenza emergenziale, per fronteggiare il pericolo della impossibilità, per il conduttore, di sostenere l’importo del canone originariamente pattuito.

a. ESERCIZIO DEL DIRITTO DI RECESSO EX ART. 27 L. N. 392/1978.

Il primo strumento ipotizzabile è il diritto di recesso previsto dall’art. 27, ultimo comma, Legge n. 392/1978, il quale stabilisce che “Indipendentemente dalle previsioni contrattuali il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata”.

Tale disposizione prevede dunque che, nel momento in cui ricorrano motivi talmente gravi da non consentire il prosieguo della locazione, il conduttore possa recedere dal contratto, qualora i motivi siano sopravvenuti, estranei alla volontà del conduttore e imprevedibili (Cass. 13 giugno 2017, n. 14623; Cass. 27 marzo 2014, n. 7217).

A ciò si aggiunga che è il conduttore ad avere l’onere della prova circa la fondatezza dei citati gravi motivi, sempre secondo l’interpretazione della giurisprudenza di legittimità.

b. AZIONABILITÀ DELLA RISOLUZIONE PER ECCESSIVA ONEROSITÀ EX ART. 1467 C.C.

Un altro strumento utilizzabile dal conduttore è quello relativo alla risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, ai sensi dell’art. 1467 c.c., il quale sancisce che “Nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto”.

L’istituto in esame si applica allorquando un evento, straordinario e imprevedibile, dunque estraneo alla normale alea del contratto, renda l’esecuzione della prestazione per una delle parti assai più onerosa rispetto a quanto prevedibile prima di tale evento.

Anche in questo caso, incombe sul conduttore l’onere di provare che l’evento sopravvenuto ha determinato un’alterazione delle condizioni del negozio originariamente convenuto tra le parti e la riconducibilità di tale alterazione a circostanze assolutamente imprevedibili (Tribunale di Milano, Sezione Spec. Imprese, Sentenza 3 luglio 2014, n. 8878).

Ferme le possibili applicazioni dei sopra menzionati istituti giuridici, si deve altresì considerare la possibilità per il conduttore di evitare di recedere dal contratto di locazione, proponendo la modifica delle condizioni dell’accordo, così da riequilibrare il rapporto sinallagmatico.

c. IPOTIZZABILITÀ DELLA DOMANDA DI REDUCTIO AD AEQUITATEM.

Ancora in un’ottica di conservazione dei rapporti giuridici, potrebbe altresì percorrersi una terza ipotesi, ossia verificare l’ammissibilità della domanda di reductio ad aequitatem, mediante la quale la parte contro cui è domandata la risoluzione del contratto può promuovere un negozio di tipo processuale idoneo a ridurre ad equità le condizioni del contratto.

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È dunque pacifico che il conduttore non possa far riferimento arbitrariamente ad un diritto alla sospensione o alla riduzione del canone, ad eccezione dei casi esplicitamente previsti dalla legge e dalla giurisprudenza. Difatti, qualsiasi azione unilaterale, in assenza delle succitate condizioni, sarebbe considerata illegittima e costituirebbe un inadempimento contrattuale.

Nello stesso senso, si significa che l’autonomia contrattuale cristallizzata in un contratto stipulato tra privati non può subire direttamente deroghe, sospensioni o annullamenti da un atto avente forza di legge.

Il Legislatore può eventualmente intervenire sulle norme generali che regolano una fattispecie contrattuale determinata e che integrano le lacune del negozio giuridico volutamente lasciate dalle parti alla disciplina di legge.

È quanto avvenuto con l’introduzione dell’art. 91 del Decreto Cura Italia che prevede, per ogni tipo di contratto o obbligazione (a titolo esemplificativo appalti, forniture di beni e servizi, contratti preliminari etc.), fino a quando durerà il periodo emergenziale, che “Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.

Ai sensi della predetta disposizione di carattere generale, applicabile dunque anche ai contratti di locazione in essere, gli eventuali ritardi nel pagamento del canone locatizio durante la vigenza delle norme emergenziali non dovrebbero costituire o concorrere a determinare il grave inadempimento contrattuale che, ai sensi dell’art. 1455 c.c., è idoneo alla risoluzione del contratto di locazione.

Il conduttore citato in giudizio dal locatore, nell’azione di sfratto o di morosità, potrebbe pertanto avvalersi di tale disciplina eccezionale ed emergenziale per opporsi alla domanda del locatore.

Si precisa tuttavia che la portata così ampia e generica dell’inciso della norma rende imprevedibile l’effettiva interpretazione giurisprudenziale, anche in considerazione del fatto che la valutazione della condotta inadempiente del conduttore è rimessa esplicitamente dalla stessa norma alla discrezionalità del Giudice. Questi avrà il compito di valutare, caso per caso, la meritevolezza o meno del soggetto che invoca l’applicazione dell’“esimente” prevista dell’art. 91 D.L. 18/2020.

Pertanto, al contraente-conduttore converrà verificare preventivamente e prudenzialmente la sussistenza dei requisiti necessari per poter invocare l’applicazione al suo caso della disposizione di cui all’art. 91 del D.L. 18/2020, anche alla luce del complessivo andamento del rapporto contrattuale.

Resta inteso che, per fronteggiare congiuntamente la grave situazione emergenziale attualmente vigente nel nostro Paese, le parti potrebbero altresì concordare sospensioni, riduzioni o posticipazioni del pagamento del canone, anche ricorrendo all’istituto della mediazione ex D.Lgs. 28/2010, avvalendosi semmai in quella sede dell’applicazione dell’art. 91 del Decreto Cura Italia.