Tutela del consumatore: dalla normazione europea alla codificazione italiana.

Anche nel campo della tutela del consumatore – parafrasando un noto brocardo latino – possiamo dire che dalla vita nasce il diritto.

Dai problemi del cittadino nella sua veste di destinatario dell’offerta di beni e servizi è sorta l’esigenza di avere standard di qualità dei prodotti, attenzione ai prezzi del mercato, tutela della salute della collettività e dei singoli.

Dalle esigenze dei fruitori di prodotti e servizi nelle libere economie di mercato è discesa la necessità di approntare strumenti di tutela alla parte contrattuale dotata di minore forza economica, conoscitiva e, quindi, contrattuale, nonché regole certe che valgano per tutti i produttori o professionisti del medesimo settore.

Abbiamo già visto come la Comunità europea prima, l’Unione Europa dopo hanno fatto da apripista e da bussola, laddove in Italia – a livello normativo  e non solo – si era piuttosto in ritardo e la tutela era affidata alle applicazioni dei principi generali dell’ordinamento giuridico.

Il corpus normativo del diritto dei consumatori si è formato e stratificato nel tempo grazie al concorso di un moto autoctono, fatto della circolazione delle idee e dei modelli di intervento attraverso convegni, seminari, conferenze, studi comparati, pubblicazione di articoli specializzati, primi approfondimenti accademici, ma anche e soprattutto di un impulso potente di diretta derivazione comunitaria ed internazionale.

Se tentiamo di scattare una istantanea del quadro attuale delle fonti dell’ordinamento del diritto dei consumatori, occorre iniziare l’esame dalla Carta costituzionale, in cui però le categorie giuridiche, ancora profondamente legate al sistema economico–sociale dell’epoca, non contemplano quella del consumatore, di emersione più recente.

a) Peraltro, dalla lettura della Carta, di certo, si può implicitamente sussumere la tutela del consumatore in quella dell’individuo e della persona e, come tale, essa può costituire un limite interno alla iniziativa economica privata, che non deve offendere la dignità, la sicurezza e la salute della persona e deve conformarsi alla utilità.

b) Tra le leggi ordinarie, il codice civile (nel testo originario del 1942) non menzionava il consumatore.

Successivamente, ed in maniera più mirata a cominciare dagli anni Ottanta, numerose sono le iniziative legislative, molte in attuazione di direttive comunitarie, che si susseguono fino alla Legge-quadro del 30 luglio 1998, n. 281, che ha riconosciuto i diritti fondamentali dei consumatori e degli utenti.

Di seguito, proviamo a riferire, seppur senza pretese di esaustività, della legislazione speciale adottata all’epoca in alcuni settori, ripartiti per affinità di materia, prima della sua raccolta nel futuro Codice del Consumo:

  • informazione del consumatore: L. 10 aprile 1991, n. 126 (ed il relativo regolamento di attuazione, DM 8 febbraio 1997, n. 101);
  • modalità di fabbricazione dei prodotti, presentazione al pubblico delle merci, etichettatura; degne di rilievo sono la L. 11 ottobre 1986, n. 713 e L. 29 dicembre 1990, n. 428 sulla produzione e vendita di cosmetici; L. 29 dicembre 1990 n. 428 e D. Lgs. 27 dicembre 1991 n. 313 sulla vendita dei giocattoli; L. 25 novembre 1975, n. 797 sulla sicurezza dei veicoli; D.P.R. 24 maggio 1988, n. 224 sulla responsabilità del fabbricante di prodotti difettosi; L. 3 agosto 2004, n. 204, sull’etichettatura di alcuni prodotti agroalimentari, nonché in materia di agricoltura e pesca;
  • sicurezza generale dei prodotti: D. Lgs. 17 marzo 1995, n. 115; igiene degli alimenti: L. 30 aprile 1962, n. 283, D. Lgs. 26 maggio 1997, nn. 155 e 156;
  • prodotti biologici: D. Lgs. 17 marzo 1995, n. 220;
  • pubblicità di prodotti e servizi: D. Lgs. 25 gennaio 1992, n. 74 e D. Lgs. 25 febbraio 2000, n. 67 sulla pubblicità ingannevole; L. 10 aprile 1962, n. 165 sul divieto della propaganda dei prodotti da fumo; L. 6 agosto 1990, n. 223 sulla pubblicità televisiva;
  • modalità di vendita: D. Lgs. 15 gennaio 1992, n. 50 sui contratti negoziati fuori dei locali commerciali; L. 15 marzo 1997, n. 59 e D. Lgs. 23 gennaio 2002, n. 10 sulla firma digitale; D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 114 sul settore del commercio; sui contratti a distanza, D. Lgs. 22 maggio 1999, n. 185; sulla indicazione dei prezzi offerti ai consumatori, D. Lgs. 25 febbraio 2000, n. 84; D. Lgs. 9 aprile 2003, n. 70 sul commercio elettronico e contraffazione via web;
  • credito al consumo: L. 19 febbraio 1992, n. 142, poi nel testo unico bancario, D. Lgs. 1 settembre 1993, n. 385; D. Lgs. 25 febbraio 2000, n. 63; D.M. 14 giugno 2004, sulla gestione del fondo di garanzia per il credito al consumo;
  • contratti dei risparmiatori nei servizi bancari e finanziari: L. 17 febbraio 1992, n. 154 per le norme sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari; poi, il testo unico bancario ed il testo unico sul mercato finanziario;
  • contratti dei consumatori: L. 6 febbraio 1996, n. 52;
  • legislazione su viaggi e organizzazioni turistiche, case in multiproprietà: D. Lgs. 11 marzo 1995, n. 111, D. Lgs. 9 novembre 1998, n. 427;
  • assicurazioni: D. Lgs. 17 marzo 1995, nn. 174 e 175; successivamente, il Codice delle Assicurazioni Private, D. Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, composto da 355 articoli in sostituzione e aggiornamento delle oltre mille norme che regolavano il settore per la regolazione di tutto il settore assicurativo;
  • beni di consumo (vendita e garanzie): D. Lgs. 2 febbraio 2002, n. 24;
  • servizi pubblici e Carte dei Servizi: DPCM 27 gennaio 1994 e L. 14 novembre 1995, n. 481;
  • legge quadro sulla disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti e promozione della loro tutela in sede nazionale e locale: L. 30 luglio 1998, n. 281, come modificata dalla L. 24 novembre 2000, n. 340, dal D. Lgs. 23 aprile 2001, n. 224, dalla L. 1 marzo 2002, n. 39.

c) A livello inferiore agli atti normativi nazionali stanno le leggi regionali che hanno provveduto a disciplinare numerosi aspetti dei rapporti di consumo.

In realtà, la legislazione regionale si è occupata prevalentemente di finanziamento di associazioni e di attività a tutela dei consumatori ovvero dell’istituzione di organismi regionali di natura consultiva in materia di diritto dei consumatori.

d) L’attività delle amministrazioni comunali e provinciali si sono concentrate nella istituzione di uffici per la tutela del consumatore.

e) Le cd. Autorità amministrative indipendenti – come l’Antitrust, l’Isvap, la Consob, l’Autorità per i servizi di pubblica utilità, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, – hanno anch’esse il potere di adottare provvedimenti a tutela degli interessi dei consumatori e costituiscono punti di riferimento per le medesime associazioni dei consumatori quale referente istituzionale nelle materie di osservazione e competenza.

L’esperienza italiana presenta, poi, altre peculiarità:

  • le problematiche della materia sono oggetto di indagine e cura di una Direzione apposita costituita presso l’ex Ministero dell’Industria, poi delle Attività Produttive, presso il quale operava la Consulta nazionale dei consumatori e degli utenti, poi modificato nel CNCU – Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (introdotto dalla Legge-quadro, 1998);
  • esistono alcune istituzioni, come l’Istituto del Marchio di Qualità, l’Istituto per il Controllo della Pubblicità, l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria che svolgono funzione di verifica delle attività delle imprese associate;
  • esistono numerose associazioni di consumatori che, pur non disponendo di un patrimonio di esperienze e di iscrizioni paragonabili a quello degli altri paesi europei o a quello nord-americano, si collocano come interlocutori dei pubblici poteri;
  • sono state avviate varie iniziative dirette alla soluzione extra-giudiziale delle controversie tra consumatori, utenti, risparmiatori ed i relativi soggetti contraddittori (da quelle di iniziativa privata, come il caso Telecom, a quelle previste dalle stesse Autorità indipendenti);
  • con la Legge n. 580/1993 si sono attribuite alle Camere di Commercio competenze di moral suasion per la redazione di modelli contrattuali delle imprese e competenze in materia di conciliazione e di arbitrato dei conflitti tra imprese e consumatori.

È indubbio, tuttavia, che in Italia l’approvazione della Legge 281 del 30 luglio 1998 ha costituito il punto d’approdo delle dottrine e delle idee che propugnavano l’affermazione in materia, anche a livello legislativo, di principi, diritti e categorie autonome, nonché il momento e lo strumento di riconoscimento da parte dei pubblici poteri del ruolo dell’associazionismo consumeristico.

Con tale provvedimento legislativo, infatti, si è introdotta la possibilità per le associazioni dei consumatori di ottenere il riconoscimento ministeriale e, di contro, è stato istituito il Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (CNCU). Quest’ultimo rappresenta un vero e proprio soggetto istituzionale e riveste una funzione per lo più consultiva.

Tali associazioni ottenevano il riconoscimento tramite l’iscrizione in un “elenco” tenuto dal Ministero delle Attività Produttive, che era subordinato al possesso di determinati requisiti previsti dal decreto ministeriale n. 20/1999. Tutte le associazioni iscritte in detto elenco concorrono a formare il Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti o CNCU.

La legge ha riconosciuto alle associazioni dei consumatori e degli utenti, registrate nell’elenco di cui sopra, la legittimazione ad agire in giudizio a tutela degli interessi collettivi dei rappresentati.

A livello teorico, la legge-quadro ha previsto e canonizzato la serie dei diritti fondamentali del consumatore: la tutela della salute;  la sicurezza e qualità dei prodotti e dei servizi; una adeguata informazione ed una corretta pubblicità; l’educazione al consumo; la correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali concernenti beni e servizi; la promozione e lo sviluppo dell’associazionismo libero, volontario e democratico tra i consumatori e gli utenti; l’erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza.

I meriti della Legge n. 281/98 stanno nell’aver raccolto in un’unica enunciazione i fili sparsi di una disciplina altrimenti spezzettata, in modo da realizzare una sorta di Statuto del consumatore e dell’utente, cui fare riferimento per attingerne principi e linee-guida.

Con essa il consumatore e l’utente sono divenuti soggetti di posizioni tutelate: non più per singole occasioni settoriali, ma quali soggetti protagonisti del mondo economico.

L’evoluzione storica ha fatto del cittadino-consumatore la potenziale vittima di un mercato sempre più sofisticato ed agguerrito; l’evoluzione normativa ha inteso provvedere a difendere il cittadino-consumatore, riconducendolo, con l’arma della legge, verso una posizione di sostanziale parità con le controparti.

Tuttavia, negli anni successivi, in linea con l’appassionarsi del legislatore italiano alla redazione di “testi unici”, è maturata l’idea di realizzare un “codice” della materia del diritto dei consumatori.

Per l’effetto, il 6 settembre 2005 è stato emanato il D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 sulla scorta delle legge delega 29 luglio 2003, n. 229, in cui, a mente del suo art. 1, il Codice del consumo “armonizza e riordina le normative concernenti i processi di acquisto e consumo, al fine di assicurare un elevato livello di tutela dei consumatori e degli utenti”.

Con il Codice del consumo, tuttavia, non è cambiato molto nello scenario teorico ed operativo del settore.

Esso, infatti, non brilla per originalità di soluzioni ed è sostanzialmente frutto di una collazione di norme già esistenti, già conosciute dagli addetti ai lavori.

Non solo, il lavoro di riordino e raccolta in unico testo è riuscito solo in parte, vuoi per evidenti oggettive esclusioni dal testo di alcune discipline di settore, vuoi per il mancato scioglimento di alcune contraddizioni ed incertezze, da tempo caratterizzanti la materia e fonti di non pochi tentennamenti per gli operatori del diritto (ad esempio, in tema di clausole vessatorie).

Infine, il problema della tutela giudiziaria dei consumatori rispetto alle questioni “minime” (small claims) è rimasto senza soluzione così come, più in generale, il problema della effettività della tutela degli interessi dei consumatori come classe era rimasto ancora da affrontare.

In ogni caso, sia chiaro che nessun testo legislativo in materia, per quanto tecnicamente raffinato e socialmente avanzato, poteva e potrà da solo supplire e sostituirsi agli unici elementi che potrebbero assicurare maggiore tutela delle istanze dei cittadini altrimenti privi di difesa: una coscienza etica dei produttori, da un lato, e, dall’altro, una maggiore consapevolezza dei consumatori della loro natura, del ruolo e della funzione nel circuito produttivo.

La breve e frammentaria ricognizione che precede induce alla conclusione che anche il Codice del consumo non poteva e non può costituire quella summa, unica ed esaustiva, della materia in esame, ma solo il punto di partenza per la sistemazione di un settore sempre in grande fermento legislativo ed operativo.