Cassazione / Tutela del committente rafforzata nel contratto d’appalto con la doppia garanzia prevista dagli artt. 1667 e 1669 c.c.

In tema di appalto sussiste la concorrenza delle garanzie previste dagli artt. 1667 e 1669 c.c., in vista del rafforzamento della tutela del committente; ne consegue che, ove a fondamento della domanda siano dedotti difetti della costruzione così gravi da incidere sugli elementi essenziali dell’opera stessa, influendo sulla sua durata e compromettendone la conservazione, il giudice è sempre tenuto, ove le circostanze lo richiedano, a qualificare la domanda, in termini di risarcimento per responsabilità extracontrattuale (art. 1669 c.c.), ovvero contrattuale di adempimento o riduzione del prezzo e risoluzione (art. 1667 c.c.)” (Cass. Civ., sez. II, 25 luglio 2019, n. 20184).

Di recente,la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta ancora una volta in materia di contratto d’appalto privato e, nello specifico, ha approfondito l’argomento relativo alla tutela del committente in presenza di vizi o difetti di costruzione, con riferimento ai due tipi di garanzia previsti dal Codice Civile, agli artt. 1667 e 1669.

Innanzitutto, preme rammentare la disciplina di tali istituti e gli elementi che differenziano l’uno dall’altro. L’art. 1667 c.c., rubricato “Difformità e vizi dell’opera”, stabilisce che, in caso di difformità o vizi dell’opera, il committente può invocare una garanzia nei confronti dell’appaltatore, entro sessanta giorni dalla scoperta, e può intentare l’azione in un termine prescrizionale di due anni dal giorno della consegna dell’opera.

L’art. 1669 c.c., rubricato come “Rovina e difetti di cose immobili”, invece, disciplina una peculiare responsabilità dell’appaltatore se, nel corso di dieci danni dal compimento, l’opera per vizio del suolo o per difetto della costruzione – qualora si tratti di edifici o di altre cose immobili – rovini in tutto o in parte, ovvero presenti evidente pericolo di rovina o gravi difetti. In tal caso, la responsabilità dell’appaltatore sussiste e potrà essere azionata purché sia fatta denuncia dal committente o dai suoi aventi causa entro un anno dalla scoperta e purché l’azione giudiziale del committente sia esercitata entro il termine prescrizionale di un anno dalla denuncia.

Ebbene, l’art. 1667 c.c. riguarda l’ipotesi di vizio derivante da difformità rispetto al progetto concordato nel contratto di appalto oppure da esecuzione dell’opera non a regola d’arte. Al contrario, l’art. 1669 c.c. concerne i vizi costruttivi che incidono sugli elementi essenziali di struttura e funzionalità dell’opera stessa, influendo quindi su elementi quali solidità, efficienza e durata, ovvero limitandone notevolmente la fruibilità.

La Suprema Corte, con ordinanza n. 20184 del 25 luglio 2019, ha ribadito il proprio orientamento secondo il quale, in tema di appalto, non sussiste incompatibilità tra le tipologie di responsabilità di cui agli artt. 1667 e 1669 c.c. Per l’effetto, in caso di “gravi difetti” dell’opera, il committente potrà invocare, oltre alla garanzia prevista dall’art. 1669 c.c., anche quella prevista dall’art. 1667 c.c., purché il committente non sia incorso nelle decadenze previste per tale tipologia di responsabilità.

La ratio di tale orientamento è riscontrabile nel fatto che, nonostante la diversità di natura giuridica sottesa alle due fattispecie di responsabilità – l’art. 1667 c.c. sancisce una responsabilità di natura contrattuale, l’art. 1669 c.c. disciplina una responsabilità di natura extracontrattuale – per quanto riguarda la struttura di tali istituti, le relative fattispecie si configurano l’una (art. 1669 c.c.) come sotto-insieme dell’altra (art. 1667 c.c.), con la conseguenza di un rafforzamento delle garanzie a tutela del committente (la cosiddetta “concorrenza di garanzie”).

In definitiva, sarà il giudice di merito che, di volta in volta, dovrà qualificare la domanda giudiziale, analizzando l’entità dei vizi posti a fondamento della stessa e applicando la soluzione più adeguata al caso di specie, nel rispetto del principio di rafforzamento delle garanzie a tutela del committente.

Giurisprudenza / Il revirement della Corte Suprema sugli obblighi motivazionali della P.A. nel caso di impugnazione dell’avviso di riclassamento dell’immobile ed attribuzione di nuova rendita catastale.

Con la recentissima ordinanza n. 591 del 15 gennaio 2020, la Corte Suprema interviene nuovamente nel solco del copioso contenzioso tributario incardinatosi in ragione della massiva attività di rideterminazione del classamento e attribuzione di nuova rendita catastale posta in essere dall’Agenzia delle Entrate ai sensi dell’art. 1, comma 335, Legge n. 311/2004, accogliendo il ricorso di due contribuenti che lamentavano il vizio di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato e confermando il revirement in corso del precedente orientamento giurisprudenziale prevalente.

La Corte Suprema precisa quale sia la sufficienza dell’obbligo motivazionale incombente sugli atti dell’Amministrazione Finanziaria, in tema di estimo catastale, a seconda che lo stesso debba supportare l’attivazione autonoma dell’Agenzia del Territorio competente ovvero l’attivazione dell’Agenzia a seguito dell’iniziativa del contribuente, mediante la cd. procedura “DOCFA”.

Mentre nella seconda fattispecie l’obbligo motivazionale risulta soddisfatto con la semplice indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita all’unità immobiliare, qualora gli elementi di fatto individuati dal contribuente siano confermati dall’Amministrazione stessa e l’eventuale differenza tra rendita proposta e attribuita sia dovuta ad una mera valutazione tecnica inerente il valore economico dei beni, la conclusione cui perviene il Giudice di Legittimità è totalmente opposta qualora ricorra la prima fattispecie.

Secondo la Corte, infatti, nel caso di iniziativa dell’Ufficio, la motivazione dovrà essere più approfondita, sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente, che dovrà necessariamente essere posto nella condizione di valutare se prestare o meno acquiescenza al provvedimento e di approntare la migliore strategia processuale, sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso, cristallizzando così le ragioni poste a fondamento dell’avviso e impedendo, altresì, all’Agenzia di aggiungere ulteriori profili rispetto a quanto indicato nell’atto, sulla base della prospettazione offerta dal contribuente stesso.

In merito, la Corte precisa che la motivazione dell’atto di riclassamento non può subire integrazioni nel giudizio di impugnazione, al fine di impedire “un inammissibile giudizio ex post della sufficienza della motivazione, argomentata dalla difesa svolta in concreto dal contribuente, piuttosto che un giudizio ex ante basato sulla rispondenza degli elementi enunciati nella motivazione….

La pronuncia in esame consolida, quindi, anche alla luce delle recenti indicazioni interpretative espresse dalla Corte Costituzionale con la pronuncia n. 249/2017, l’orientamento secondo cui, nel caso di nuovo classamento ex art. 1, comma 335, L. 30 n. 311/2004, nell’ambito di una revisione dei parametri catastali della microzona in cui l’immobile è situato, giustificata dallo scostamento significativo del rapporto tra valore di mercato e valore catastale in una determinata microzona rispetto all’analogo rapporto nell’insieme delle microzone comunali, l’Amministrazione finanziaria non potrà esimersi dalla valutazione, nel caso concreto, del singolo immobile, rispettando in tal modo esigenze di “concretezza e di analiticità”, non risultando sufficiente una “motivazione standardizzata, applicata indistintamente, che si limiti a richiamare i presupposti normativi in modo assertivo (Cass. 3156/2018; Cass. 23129/2018; Cass. 28035/2018; Cass. 2876/2018; Cass. 9770/2019).

Pertanto, un’operazione di riclassamento di massa dal carattere così diffuso e seriale, come quella del caso di specie, potrà essere considerata legittima solo se supportata da una motivazione tanto precisa quanto rigorosa.

In conclusione, la Corte afferma e fissa il seguente principio di diritto: “In tema di estimo catastale, il nuovo classamento adottato ai sensi dell’art. 1, comma 335, della Legge 30 dicembre 2004 n. 311, soddisfa l’obbligo di motivazione se, oltre a contenere il riferimento ai parametri di legge generali, quali il significativo scostamento del rapporto tra il valore di mercato ed il valore catastale rispetto all’analogo rapporto sussistente nell’insieme delle microzone comunali, ed ai provvedimenti amministrativi su cui si fonda, consente al contribuente di evincere gli elementi, che non possono prescindere da quelli indicati nell’art. 8 del D.P.R. 23 marzo 1998 n. 138 (quali la qualità urbana del contesto nel quale l’immobile è inserito, la qualità ambientale della zona di mercato in cui l’unità è situata, le caratteristiche edilizie del fabbricato e della singola unità immobiliare), che, in concreto, hanno inciso sul diverso classamento, ponendolo in condizione di conoscere ex ante le ragioni specifiche che giustificano il singolo provvedimento di cui è destinatario, seppure inserito in un’operazione di riclassificazione a carattere diffuso”.