Decreto Dignità 7 – Rischio Riforma: pochi rinnovi e nessun effetto deterrente contro i licenziamenti illegittimi

Con l’entrata in vigore del cd. Decreto Dignità le eterne opposte fazioni del ns. agone politico (i fautori della nuova norma, da un lato, e i contrari, dall’altro) hanno iniziato a duellare, senza tuttavia offrire chiarezza e trasparenza, forse senza neppure troppa consapevolezza della reale portata della nuova disciplina.

In ogni caso, se da un lato si è compreso che un effetto sulla gestione delle imprese il provvedimento lo ha avuto o lo avrà senza dubbio, dall’altro appare utile indagare se le novità introdotte hanno o avranno una qualche reale incidenza sulla vita dei lavoratori.

 

In primis, si rammenti la riduzione della durata massima consentita dei contratti a termine da 36 mesi a 24 o a 12 senza causale e, appunto, la reintroduzione della causale per i contratti superiori a 12 mesi.

Anche nell’ottica dei lavoratori, va detto che un contratto che duri meno (24 mesi anziché 36 mesi) può̀ essere solo penalizzante per il dipendente, che vedrà̀ così ridursi la prospettiva della durata del suo rapporto di lavoro, senza avere alcuna certezza che in questo modo si favorisca la stipula di contratti a tempo indeterminato.

 

Con riguardo alla cd. reintroduzione delle causali, neppure questo appare un provvedimento idoneo a combattere il “precariato”.

Infatti, l’effetto più probabile è l’aumento dell’utilizzo di contratti a termine inferiori a 12 mesi senza necessità di apporre causale e, solo nel caso di soddisfazione datoriale, la trasformazione in un rapporto a tempo indeterminato. Nel caso contrario, il rapporto a tempo finirà prima e senza possibilità di rinnovi acausali. Un altro effetto possibile potrebbe essere il ritorno in auge dei co.co.co. per ovviare all’ostacolo della apposizione della causale.

Anche in questo caso la riforma non sembra, allo stato, idonea a modificare significativamente il panorama del cd. precariato.

 

Ed ancora. Quanto alla indennità per il licenziamento ingiustificato, anche in questo caso le modifiche sono state agitate, da entrambe le fazioni contendenti, come capaci di cambiare i destini dei lavoratori o delle imprese, ma anche su questo punto con mera finalità di propaganda partigiana e senza badare molto alla sostanza delle cose.

Gli aggravi introdotti sulle due indennità risarcitorie (la minima e la massima)possono essere giudicati in vario modo ma, se la minima (da 2 a 4 mesi) oggettivamente non sembra in grado di cambiare la vita delle persone, la massima (da 24 a 36 mesi) si appalesa come più efficace e gravosa.

Ma, a guardare il provvedimento in controluce, occorre evidenziare come il lavoratore che possa rivendicare la indennità massima prevista , ad oggi, “non esiste”, in quanto la misura della indennità è legata all’anzianità̀ del lavoratore.

Infatti, per poter invocare il diritto ad una indennità di 36 mensilità occorrerebbe che il lavoratore (si badi bene, assunto a tutele crescenti) vanti almeno 18 anni di anzianità̀.

Pertanto, la nuova disciplina è applicabile solo a chi sia stato assunto a tutele crescenti, ossia dal 7 marzo 2015, il che vuol dire che l’effetto (più minaccioso e forse più efficace) della intera riforma (Decreto Dignità) potrebbe iniziare a sentirsi davvero solo a partire dal marzo 2027 in poi, ovverosia dopo che i primi assunti a tutele crescenti avranno maturato almeno 12 anni di anzianità̀ e potranno quindi, se del caso, beneficiare dell’aumento dell’indennizzo.

Fino a quella data si potrà invocare la nuova norma ma nessun lavoratore avrà diritto a beneficiare dell’aggravio della sanzione, che inizia a produrre i suoi effetti su lavoratori con anzianità superiore ad almeno 12 anni.

 

Insomma, una riforma di grande clamore ma dagli scarsi effetti immediati.

Responsabilità del notaio per omessa verifica di iscrizioni ipotecarie

Il notaio che, chiamato a stipulare un contratto di compravendita immobiliare, ometta di accertarsi dell’esistenza di iscrizioni ipotecarie e di pignoramenti sull’immobile, può essere condannato al risarcimento per equivalente commisurato, quanto al danno emergente, all’entità della somma complessivamente necessaria perché l’acquirente consegua la cancellazione del vincolo pregiudizievole, la cui determinazione deve essere rimessa al giudice di merito. (massima ufficiale)

Cassazione civile, sez. III, 15 Giugno 2018, n. 15761. Est. Antonella Di Florio

 

SENTENZA

Svolgimento del processo

  1. N.G. evocò in giudizio dinanzi al Tribunale di Taranto (sezione distaccata di Martina Franca) il notaio A. domandando che fosse dichiarata la sua responsabilità professionale per non essersi accertato della libertà da iscrizioni gravanti sul bene immobile da lei acquistato mediante suo rogito, e che fosse conseguentemente condannato al risarcimento del danno subito, quantificato nella somma che aveva dovuto pagare per onorare il residuo mutuo ed ottenere la cancellazione dell’ipoteca che era risultata ancora gravante sul bene.

Il Tribunale accolse parzialmente la domanda, dichiarando il notaio responsabile della negligenza professionale dedotta ma escludendo la condanna al risarcimento del danno nella misura richiesta.

  1. La Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, adita dalla R. per la riforma del capo della sentenza che aveva respinto la domanda risarcitoria, accolse l’appello incidentale del notaio escludendo del tutto che potesse riscontrarsi la responsabilità professionale riconosciuta dal primo giudice.
  2. N.G. ricorre per la cassazione della predetta sentenza, affidandosi a due motivi.

L’intimato ha resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale sulla statuita compensazione delle spese di lite.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

 

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo la ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1176, 2230, 2232, 1228, 1175, 2055 e 1476 c.c., n. 3, e art. 1483 c.c.: lamenta che la Corte territoriale aveva ritenuto che non rientrasse fra i doveri di diligenza professionale del notaio, nell’ambito delle attività preparatorie dell’atto da stipulare, la verifica della veridicità delle informazioni aliunde pervenute, ed assume che ai sensi dell’art. 1228 c.c., egli doveva ritenersi responsabile anche dell’attività delle figure ausiliare di cui si era avvalso.

1.1 Con il secondo motivo deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1218, 1223, 1224, 115 e 116 c.p.c.: lamenta l’erronea valutazione delle prove con riferimento al “dovere di consiglio” cui il professionista era tenuto in relazione alle risultanze documentali e censura la sentenza, in relazione al rigetto dell’appello principale da lei proposto, assumendo che dalle emergenze istruttorie risultava chiaramente che per definire la pendenza debitoria del venditore, nel frattempo fallito, ed ottenere la cancellazione dell’ipoteca iscritta sul bene aveva dovuto pagare una ingente somma a favore della banca per l’estinzione del mutuo, circostanza che il notaio non aveva neanche contestato. Aggiunge, al riguardo, di aver fornito prova documentale dell’avvenuto pagamento del debito residuo e delle spese sostenute per l’eliminazione dell’iscrizione ipotecaria che costituivano, complessivamente, l’entità del risarcimento richiesto.

  1. I motivi devono essere congiuntamente esaminati e sono entrambi fondati. Questa Corte, con orientamento consolidato, ha affermato che “in tema di responsabilità professionale del notaio, qualora egli non adempia correttamente la propria prestazione, compresa quella attinente alle attività preparatorie (tra cui il compimento delle visure catastali ed ipotecarie), la responsabilità contrattuale sussiste nei confronti di tutte le parti dell’atto rogato, se da tale comportamento abbiano subito danni e purchè non lo abbiano esonerato da tali attività”. (cfr. Cass. 14865/2013; Cass. 12482/2017)); e che “il rapporto professionale che intercorre tra notaio e cliente si inquadra nello schema del mandato in virtù del quale il professionista è tenuto ad eseguire personalmente l’incarico assunto ed è pertanto responsabile ai sensi dell’art. 1228 c.c., dei sostituti ed ausiliari di cui si avvale, dei quali deve seguire personalmente lo svolgimento dell’opera, con conseguente sua responsabilità esclusiva nei confronti del cliente danneggiato” (cfr. in motivazione Cass. 20825/2009).

2.2 La Corte territoriale, nel riformare la sentenza del Tribunale, ha escluso la responsabilità professionale del notaio, assumendo:

a. che egli aveva fatto indagini sulla libertà da pesi dell’immobile, avendo ricevuto la missiva (a firma del notaio Migliori da Roma in data 2.12.1986), in cui si affermava essere intervenuto il consenso, da parte del Credito Fondiario Spa, alla cancellazione dell’ipoteca iscritta circa un anno prima (cfr. pag. 5 sentenza);

b. che nel contratto di vendita, rogitato il 17.7.1987, era stata inserita una dichiarazione del venditore che garantiva la piena proprietà del bene, la libertà da iscrizioni pesi ed oneri comunque pregiudizievoli, con la precisazione che “qualora se ne riscontrassero saranno cancellate a sua cura e spese”;

c. che infine, il “dovere di consiglio”, pur rappresentando il contenuto essenziale della prestazione professionale notarile, doveva ritenersi limitato a “questioni tecniche cioè problematiche che una persona non dotata di competenza specifica non sarebbe in grado di percepire, ma non può essere dilatato fino al controllo di circostanze di fatto il cui accertamento rientra nella normale prudenza” (cfr. pag. 6 sentenza).

2.3. Con tali statuizioni i giudici d’appello hanno fatto scorretta applicazione dei principi sopra riportati, in quanto non risulta dimostrato (dal notaio onerato) che una verifica dell’effettiva cancellazione dell’ipoteca sia stata effettuata in tempi ravvicinati rispetto alla data del rogito in modo da avere certezza dell’effettiva libertà del bene; nè risulta che dell’eventuale esito negativo sia stato dato atto nel contratto di vendita con la segnalazione della persistenza dell’iscrizione ipotecaria, unica condizione che avrebbe realizzato validamente il trasferimento di responsabilità delle conseguenze pregiudizievoli del rogito sullo stesso acquirente in quanto egli, consapevole della condizione del bene, avrebbe potuto apprezzare il rischio dell’operazione negoziale con diretta ed esclusiva ascrivibilità dell’eventuale danno sul venditore (cfr. al riguardo Cass. 21792/2015).

Nè, in tale situazione, assume rilievo scriminante per il notaio l’avvenuto pagamento del prezzo prima del rogito perchè la richiesta risarcitoria è riferita alla somma aggiuntiva che la R. è stata costretta a pagare al fine di rendere l’immobile acquistato libero dall’iscrizione esistente; nè la circostanza può essere idonea a sollevare il professionista dal dovere di effettuare seriamente è tempestivamente tutte le attività preparatorie per le quali il cliente ripone nella sua funzione il massimo affidamento.

2.4. E, tanto premesso, anche la censura relativa alla violazione delle norme indicate nella rubrica del secondo motivo risulta fondata, in quanto il risarcimento richiesto è riferito ad un danno provato dalle emergenze istruttorie (fra cui la documentazione tempestivamente prodotta dalla ricorrente), non esaminate dalla Corte territoriale in ragione dell’accoglimento dell’appello incidentale del notaio.

  1. Il ricorso principale deve essere, dunque, accolto e quello incidentale rimane logicamente assorbito.

La sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Lecce in diversa composizione che dovrà riesaminare la controversia attenendosi ai seguenti principi di diritto: “Il notaio che, chiamato a stipulare un contratto di compravendita immobiliare, ometta di accertarsi dell’esistenza di iscrizioni ipotecarie pregiudizievoli sull’immobile, può essere condannato al risarcimento del danno consistente nel pagamento della somma complessivamente necessaria per la cancellazione del vincolo, la cui determinazione deve essere rimessa al giudice di merito”.

“L’attività preparatoria che rientra nei doveri di diligenza dell’attività notarile deve essere svolta in tempi utili a garantire la corrispondenza dell’esito delle ricerche effettuate con le condizioni del bene che vengono descritte nell’atto, sia in ragione della necessità di assicurare la serietà e la certezza degli effetti tipici di esso, sia in funzione della realizzazione sostanziale della funzione di pubblico ufficiale”.

La Corte di rinvio deciderà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo esame della controversia alla CA di Lecce in diversa composizione anche per la decisione sulla spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 14 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2018.

 

 

Legge n. 205/2017 / Retribuzione solo in modalità tracciata – Valore firma su busta paga

Dal 1° luglio 2018 i datori di lavoro ed i committenti non potranno più corrispondere ai lavoratori la retribuzione per mezzo di denaro contante, indipendentemente dalla tipologia del rapporto di lavoro instaurato. I datori di lavoro sono tenuti a corrispondere ai lavoratori la retribuzione e/o compenso solo mediante pagamenti con modalità tracciabili, a prescindere dall’ammontare dell’importo versato, anche se si tratta di semplici anticipazioni (art.1, comma 910, L. n.205/2017).

Rapporti di lavoro esclusi.

La norma – art. 1, co. 910 e 912 L. n. 205 del 27 dicembre 2017 – esclude alcuni rapporti di lavoro dal divieto di pagamento in contanti delle retribuzioni:

  • i rapporti di lavoro instaurati con la Pubblica Amministrazione di cui all’art.1, co. 2, D.Lgs. 165/2001;
  • i rapporti di lavoro domestico;
  • i rapporti di lavoro occasionale autonomo ex art. 2222 c.c.;
  • i tirocini;
  • le borse di studio.

Comunque, anche con riguardo a tali tipologie di rapporto, nel caso in cui la retribuzione o il compenso siano superiori ai 2.999,99 vige il divieto di pagamento in contante. Il trasferimento di denaro contante superiore alla citata soglia è vietato, anche se effettuato con più pagamenti, singolarmente inferiori alla soglia ma che appaiono artificiosamente frazionati.

Rapporti di lavoro inclusi.

La preclusione prevista dalla norma all’uso del contante, in materia di pagamento delle retribuzioni di lavoro, riguarda qualsiasi rapporto di natura lavorativa, indipendentemente dalle modalità di svolgimento della prestazione, sia essa autonoma o subordinata. Sono inclusi i rapporti di lavoro instaurati in qualsiasi forma dalle cooperative con i  propri soci.

Sanzioni.

Il pagamento della retribuzione effettuato con denaro in contante comporterà l’applicazione, da parte degli organi di vigilanza, di una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da 1.000,00 a 5.000,00 Euro. Con la nota prot. n.5828 del 4 luglio u.s., l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha affermato che “il riferimento all’erogazione della retribuzione – che per lo più avviene a cadenza mensile – comporta l’applicazione di tante sanzioni quante sono le mensilità per cui si è protratto l’illecito”.

Modalità di pagamento.

Il legislatore ha previsto le seguenti modalità di pagamento:

  • bonifico bancario o postale sul conto del lavoratore identificato da codice IBAN;
  • pagamenti elettronici;
  • pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro ha aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento;
  • assegno consegnato al lavoratore o, in caso di impedimento, ad un suo delegato.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro chiarisce anche che “per consentire l’effettiva tracciabilità dell’operazione eseguita il datore di lavoro dovrà conservare le ricevute di versamento anche ai fini della loro esibizione agli organi di vigilanza”.

Valore della firma del lavoratore sulla busta paga.

Oggi viene definitivamente sancito dall’art. 1, co. 912, L. n. 205/2017 che la firma apposta dal lavoratore sulla busta paga non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione.

Con ciò si conferma definitivamente quanto più volte già affermato dalla Giurisprudenza di legittimità, ossia che la sottoscrizione “per quietanza” o “per ricevuta”, apposta dal lavoratore alla busta paga, non implica, di per sé, in maniera univoca, l’effettivo pagamento della somma indicata nel medesimo documento, e pertanto non è da ritenersi prova di tale pagamento.