Direttore dei Lavori: fascino e rischi di un professionista sull’ottovolante

Di recente abbiamo vissuto un’epoca (anche legislativamente parlando) in cui è stato di gran moda ispirarsi a modelli politico-culturali “liberali” e liberalizzanti, motivo per cui – anche con riguardo al tema che ci occupa – si è acceduti all’idea che tutto ciò che non è vietato è permesso e che, anche in tema di edilizia privata, si può fare a meno di controlli e controllori.

Tanto che anche l’esecuzione di molte opere edilizie private, concesse in appalto, può essere controllata e vigilata direttamente e solamente dal committente, ossia di tutta evidenza da un non-tecnico, in pratica da un perfetto incompetente.

Tuttavia, nell’esecuzione di opere edilizie più impegnative – e conseguentemente a rischio della incolumità pubblica e privata – fortunatamente resiste l’obbligo di adozione della figura del “direttore dei lavori”, che dunque è riconosciuta ancora necessaria e obbligatoria per legge, come nel caso di costruzione di nuovi edifici, ristrutturazione prospetti, interventi di consolidamento strutture, impermeabilizzazioni di lastrici solari, rifacimento coperture, ecc. In generale, la figura del direttore dei lavori è obbligatoria per tutti gli interventi edilizi subordinati al permesso di costruire o per quelli che richiedono dichiarazioni di asseverazione dei lavori nel rispetto dei titoli abilitativi previsti dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

Pertanto, anche nel settore dell’edilizia privata, il direttore lavori appare, ancora oggi, figura di assoluto rilievo per il corretto e prudente espletamento dell’appalto in quanto risponde del suo operato al committente, di cui deve fare gli interessi durante l’esecuzione dei lavori, facendo rispettare all’appaltatore le disposizioni di contratto e impartendo le necessarie istruzioni tecniche per l’esecuzione dei lavori a regola d’arte, secondo i disegni progettuali e le relative prescrizioni del capitolato d’appalto.

Obblighi.

Emerge dunque da subito che dalla qualifica di D.L. discendono funzioni di supervisione e vigilanza della regolare esecuzione delle opere previste nel progetto, con la conseguente previsione della facoltà di impartire le opportune istruzioni quando necessario.

In tal senso, la Giurisprudenza più recente ha puntualizzato che: “Costituisce obbligazione del direttore dei lavori l’accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica e pertanto egli non si sottrae a responsabilità ove ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllare l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e, in difetto, di riferirne al committente” (Cass. civ., Sez. II, 03/05/2016, n. 8700).

Sempre secondo la consolidata Giurisprudenza di Legittimità: “In tema di responsabilità del direttore dei lavori, l’alta sorveglianza in cui si concreta l’attività del professionista, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere, né il compimento di operazioni di natura elementare, comporta un’obbligazione di mezzi, consistente nel controllo — da effettuarsi non con la diligenza ordinaria, ma con la diligentia quam in concreto — della realizzazione dell’opera nelle sue varie fasi, per cui il direttore dei lavori è responsabile verso il cliente se omette di vigilare e di impartire le disposizioni opportune e di controllarne l’esecuzione da parte dell’appaltatore(Cass. 27 gennaio 2012 n. 1218; cfr. in tal senso anche Cass. 13 aprile 2015 n. 7373).

Secondo la Suprema Corte, dunque, l’obbligazione del direttore dei lavori costituisce un’obbligazione “di comportamento”, non già di risultato, in quanto ha per oggetto la prestazione di  un’opera intellettuale che non si estrinseca nemmeno in parte in un risultato di cui si possa cogliere tangibilmente la consistenza. In conseguenza, all’obbligazione del direttore dei lavori non è applicabile la  disciplina dell’art. 2226 c.c. (che riguarda le obbligazioni di risultato) secondo cui l’accettazione espressa o tacita libera il prestatore di opera di responsabilità per difformità o vizi della medesima, con la conseguenza che l’accettazione  dell’opera realizzata da parte del committente non esonera il direttore dei lavori della responsabilità nei confronti del committente stesso per inadempimento delle  obbligazioni da lui assunte.

Insomma, il direttore dei lavori risponde al committente del suo operato circa la corretta  esecuzione nel caso della mancata adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi e nel  rispetto del contratto; non si sottrae a responsabilità nel caso in cui ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni di servizio o istruzioni tecniche  al riguardo, nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e di  riferirne al committente.

Allo stesso modo, non è pretesa dal D.L. una vigilanza costante in cantiere ma è suo compito fornire le istruzioni e le indicazioni fondamentali per lo svolgimento corretto e a regola d’arte dei lavori, mediante un controllo periodico. Del resto, il D.L. non ha un potere di coazione materiale nei confronti dell’appaltatore.

In sintesi, il professionista in oggetto non va esente da responsabilità ove ometta di vigilare e di impartire le necessarie disposizioni al riguardo, nonché trascuri di verificarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e di riferirne al committente. Più specificatamente, l’attività del direttore dei lavori nell’interesse del committente è rappresentata dalla predetta alta sorveglianza delle opere, dal controllo dell’avanzamento dell’opera nei suoi vari stadi e, pertanto, dalla verifica – tramite visite periodiche e contatti diretti con i  tecnici dell’impresa in ogni fase dei lavori – dell’osservanza delle regole dell’arte e della corrispondenza dei materiali utilizzati (ex multis: Cass. 24 aprile 2008 n. 10728).

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Opzioni operative.

Se fino a qui sono emersi gli obblighi del D.L., possiamo tuttavia accennare anche alle opzioni operative che frequentemente si presentano in concreto.

Infatti, anche secondo la Giurisprudenza di merito, si può precisare che il D.L. che, per conto del committente esercita i poteri di controllo sull’attuazione dell’appalto (sicché ha il dovere, attesa la connotazione tecnica della sua obbligazione, di vigilare affinchè l’opera sia eseguita in maniera conforme al progetto, al capitolato e alle regole della buona tecnica) potrebbe essere caricato anche della ulteriore responsabilità per “vizi progettuali”, laddove esso sia stato espressamente incaricato dal committente di svolgere anche l’attività (aggiuntiva rispetto a quella oggetto della sua normale prestazione) di verificare la fattibilità e l’esattezza tecnica del progetto (si veda di recente Tribunale di Arezzo, 03/10/2017, n. 1087).

Parimenti, al potere-dovere del D.L. di impartire corrette istruzioni non segue, in maniera automatica, quello di ordinare varianti all’opera o di acquistare materiali di propria iniziativa, salvo che tale facoltà non sia espressamente individuata all’interno del mandato specifico conferito al professionista.

A tal proposito, giacché non sempre risulta semplice distinguere le varianti dalle semplici istruzioni tecniche potrebbe risultare utile in tal senso inserire una clausola specifica nel regolamento contrattuale intercorrente tra committente e tecnico, che delinei con esattezza i termini dell’incarico.

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Responsabilità.

In ambito privatistico, il D.L. rappresenta il committente in ogni questione tecnica sottopostagli e qualora non adempia esattamente gli obblighi relativi al proprio incarico, potrebbe incorrere in responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., ossia essere condannato, all’esito di un giudizio per responsabilità professionale, al corretto adempimento dell’incarico o a eliminare la violazione commessa ovvero ad eliminare difformità o vizi dell’opera (nel caso in cui ciò sia possibile) e/o al risarcimento del danno e le spese derivanti da tale inadempimento.

In proposito, la responsabilità del D.L. segue le regole della responsabilità contrattuale ed è regolata dalle regole comuni in materia di inadempimento contrattuale, con prescrizione decennale ex art. 2946 c.c., con l’unica precisazione che il professionista D.L. risponderà in solido con l’appaltatore e il progettista, fatta salva la ripartizione delle responsabilità nei rapporti interni. In particolare, si valuti che la condizione del D.L. è addirittura deteriore rispetto a quella dell’appaltatore poiché verso il primo il termine di prescrizione dell’azione di responsabilità da parte del committente è quello decennale, laddove per l’appaltatore vigono le regole di cui all’art. 1668 c.c., per cui l’azione di responsabilità è consentita solo se il vizio è denunciato entro sessanta giorni dalla cd. scoperta e la domanda giudiziale sia incardinata entro due anni dalla consegna dell’opera.

Sul tema, la Suprema Corte nel 2017 ha corroborato il suo orientamento in tal modo: In tema di contratto di appalto, il vincolo di responsabilità solidale fra l’appaltatore e il progettista e direttore dei lavori, i cui rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente, trova fondamento nel principio di cui all’art. 2055 c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all’ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale” (Cassazione civile, sez. II, 06/12/2017,  n. 29218).

Per cautelarsi, qualora il professionista disponesse del necessario potere contrattuale, potrebbe richiedere l’inserimento, nell’incarico stesso, anche di clausole limitative della sua responsabilità, ad esempio ancorando la risarcibilità dell’eventuale danno ad un valore-soglia.

L’altra ipotesi di responsabilità gravante sul D.L. è quella extracontrattuale per i danni che dal suo operato dovessero derivare ai terzi (soggetti non legati da alcun rapporto contrattuale con lui).

Nell’ambito della generale responsabilità civile extracontrattuale, secondo la Giurisprudenza prevalente e oramai predominante, si applica anche alla figura del Direttore dei Lavori la responsabilità extracontrattuale che discende dalla norma di cui all’art. 1669 c.c., ossia quella relativa alla rovina e ai gravi difetti degli immobili.

Così, secondo gli Ermellini: “L’ipotesi di responsabilità regolata dall’articolo 1669 del cc in tema di rovina e difetti di immobili ha natura extracontrattuale e, conseguentemente, nella stessa possono incorrere, a titolo di concorso con l’appaltatore che abbia costruito un fabbricato minato da gravi difetti di costruzione, tutti quei soggetti che, prestando a vario titolo la loro opera nella realizzazione della cosa, abbiano contribuito, per colpa professionale (segnatamente il progettista e/o il direttore dei lavori), alla determinazione dell’evento dannoso, costituito dall’insorgenza dei vizi in questione(Cass. civ., Sez. II, 09/11/2017, n. 26552).

 

La norma in esame è particolarmente incisiva e tutelante per i danneggiati in quanto l’azione ex art. 1669 c.c. può essere proposta per dieci anni dalla conclusione dell’opera. Tuttavia, la denunzia del vizio deve essere effettuata entro un anno dalla sua scoperta e l’azione giudiziale si prescrive entro un anno dalla denuncia stessa.

 

A ciò, infine, si aggiunga il caso della responsabilità – verso l’appaltatore – come “falso procuratore”, nel caso in cui il professionista operi esorbitando dai poteri conferiti. In tale fattispecie, le sue decisioni risulterebbero non vincolanti per il committente ma, addirittura, le sue manifestazioni di volontà risulterebbero quelle di un falsus procurator:

“Il direttore dei lavori non è un rappresentante del committente, se non nei limiti della materia strettamente tecnica: qualora, dunque, impartisca all’appaltatore ordini che esulano dai suoi poteri rappresentativi, si verte nella tipica ipotesi del “falsus procurator” (art. 1398 c.c.), con la conseguenza che le dichiarazioni rese dal rappresentante senza poteri non vincolano in alcun modo il soggetto falsamente rappresentato” (Tribunale Roma, sez. XII, 16 febbraio 2004).

 

In questo caso, l’appaltatore che realizzasse varianti ordinate dal D.L. (infedele o che semplicemente esorbita dal suo mandato) rischierebbe di non poter esigere il pagamento di tali  opere, di fatto extra-contratto. In tal caso, il D.L. rischia di essere chiamato a rispondere delle somme dovute all’appaltatore per le opere realizzate e non pagate dal committente, in quanto commissionate esclusivamente dal D.L. stesso eccedendo i limiti del suo mandato professionale.

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A ben vedere, dunque, la figura del Direttore dei Lavori risulta permeata da specifiche obbligazioni e consistenti responsabilità che richiederebbero una attenta disamina da parte del professionista incaricato al momento del conferimento dell’incarico, sia per delimitarne, ove possibile, i risvolti risarcitori, sia per individuare con esattezza i contenuti stessi delle obbligazioni che si assumono con l’accettazione di un incarico di D.L.